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Un team di ricercatori ha emulato la fisiologia delle anguille realizzando una batteria indossabile a base di acqua e idrogel
Un team di scienziati internazionali ha realizzato una piccola bio-batteria pieghevole destinata all’elettronica indossabile. Il sorprendente risultato è frutto di una contaminazione tra il mondo della ricerca energetica e lo studio della natura. Il cuore tecnologico del dispositivo è stato infatti creato replicando la capacità delle anguille di generare potenti campi elettrici abbastanza potenti per stordire anche un cavallo. Questo potere deriva da specifiche cellule chiamate elettrociti, la cui struttura è molto simile a quella di una batteria. Le anguille elettriche possono sincronizzare contemporaneamente la carica e la scarica di migliaia di cellule nei loro corpi, con una velocità e capacità di sincronizzazione definita da Max Shtein, scienziato dei materiali all’Università del Michigan, “uno schema di cablaggio piuttosto intelligente”.
Ma come funziona questa bio-batteria?
I ricercatori hanno copiato la fisiologia del pesce creando circa 2.500 unità di sodio e cloruro disciolte in un idrogel a base di acqua. Hanno poi stampato file di minuscoli bottoni multicolore su fogli di plastica, alternando gli idrogel salati con quelli di acqua. Infine hanno realizzato un secondo foglio a base di gocce di idrogel selettivo, ciascuna delle quali consentisse il passaggio del cloruro caricato positivamente o caricato negativamente. Quando i fogli sono stati piegati, utilizzando la tecnica orientale dell’origami, le gocce toccandosi fra loro hanno generato elettricità. Un semplice passaggio e incontro di minuscoli accumuli d’acqua che si trasformano in energia.
La nuova batteria pieghevole è solo all’inizio ma i primi test hanno dimostrato che è in grado di offrire una tensione di 110 Volt che i ricercatori sperano di poter aumentare. Anche se il prototipo non permette allo stato attuale di ottenere prestazioni analoghe a quelle dell’anguilla elettrica, è importante che gli scienziati siano riusciti a capire e padroneggiare il meccanismo di base e in un futuro, forse non troppo lontano, pensare di alimentare piccoli dispositivi sanitari indossabili o addirittura impiantabili in un tessuto biologico.

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